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La c.d. giusta causa di licenziamento viene considerata come quel fatto che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.  L’orientamento giurisprudenziale più recente ritiene che, al fine di stabilire l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, occorra valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale e, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.  Così, in tema di licenziamento dovuto ad insulti rivolti dal dipendente al dirigente, la Cassazione ha avuto modo di ritenere legittimo tale provvedimento anche se l’espressione irriguardosa (nella specie “delinquente”) sia stata pronunciata in un contesto particolarmente animoso come quello di un’accesa assemblea sindacale.   Tornando al caso di specie, sebbene il comportamento del dipendente dovesse essere considerato grave, il suo carattere episodico ancorato alla mancanza di analoghi precedenti, facevano ritenere gli illeciti contestati, in definitiva, non di tale gravità da giustificare il licenziamento per giusta causa (Cassazione civile , sez. lavoro, 8 febbraio 2011 n. 3042).

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