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Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 23 febbraio 2010, n. 4375

La questione era attinente al licenziamento di una lavoratrice in quanto ritenuta responsabile di aver effettuato accessi ad Internet durante l’orario di lavoro, mediante un terminale di pertinenza dell’azienda per ragioni estranee ad esigenze di servizio, contravvenendo in modo consapevole a precisi dettami del regolamento aziendale. La stessa adiva il competente Giudice del lavoro per l’annullamento del licenziamento, sul presupposto che l’azienda aveva fatto ricorso, per la rilevazione delle infrazioni, a un programma di controllo informativo centralizzato, installato nel sistema informatico aziendale, in grado di rilevare la quantità, la durata e il tipo di accessi ad Internet effettuati dai dipendenti, in dispregio della disciplina promanante ex art. 4 della L. n. 300/1970 e, per ciò stesso, i dati acquisiti in tal modo risultavano inutilizzabili.     La Suprema Corte ha rilevato la violazione da parte della società datoriale della disciplina di cui all’art. 4 della L. n. 300/1970 che sancisce al suo primo comma il divieto di utilizzazione da parte del datore di lavoro di qualsiasi mezzo di controllo a distanza dell’altrui attività lavorativa (la medesima disposizione di legge consente esclusivamente per esigenze organizzative, produttive ovvero di sicurezza del lavoro, l’istallazione di impianti ed apparecchiature di monitoraggio da cui possa derivare anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, a condizione che la medesima istallazione sia preventivamente oggetto di specifico accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, ovvero ancora, in caso di disaccordo, di apposita autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro territorialmente competente).    Rilevato che taluni software informatici o telematici, permettendo il monitoraggio per tipo, quantità e durata degli accessi alla rete Internet, sono a tutti gli effetti strumentazioni di controllo nel momento in cui, date le loro specifiche caratteristiche, consentono al datore di lavoro di controllare a distanza ed in via continuativa durante la prestazione, l’attività lavorativa e se la stessa sia svolta secondo i criteri di diligenza, buona fede e corretto adempimento, la Suprema Corte non ha potuto che affermare l’assoggettabilità, anche di tali apparecchiature di nuova generazione, nel caso di loro impiego per fini di controllo datoriale a distanza dell’altrui attività lavorativa, alla corrispondente disciplina contenuta nello Statuto dei Lavoratori all’art. 4.   Occorre inoltre rilevare che la disciplina di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori ha natura imperativa, in ragione del fatto che a presidio della sua osservanza è prevista all’art. 38 della stessa L. 300/1970, per gli eventuali trasgressori, una sanzione penale.    Il divieto assoluto di cui al comma 1 dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, per esplicito orientamento giurisprudenziale di legittimità, non ammette deroghe, neppure in ipotesi di mera potenzialità dei controlli.    La Sentenza in commento assume una sua peculiare rilevanza sol che si pensi che la stessa rappresenta una reale e concreta occasione in cui la giurisprudenza di legittimità ha implicitamente preso consapevolezza che il controllo a distanza dei lavoratori da parte delle imprese datoriali è divenuto, e continuerà a divenire, sempre più intenso e pervasivo, anche grazie alle nuove tecnologie e al connesso progresso scientifico. 

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