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L’inconsapevolezza della posizione di gerarchia, durante una lite lavorativa, con la pronuncia di parolacce, del prestatore di lavoro, riguardo al soggetto “offeso” rende scusabile il suo comportamento determinando l’illegittimità del licenziamento posto in essere dall’azienda proprio a causa dello stesso. Il soggetto licenziato in tronco dall’azienda, era stato reintegrato dalla Corte d’Appello, anche perché non vi era un rapporto di subordinazione diretta con la persona “offesa”.  I giudici di legittimità hanno, infatti, provveduto alla reintegra nel posto di lavoro del dipendente che si era riferito ad un’azionista della società per cui lavorava (non essendo, peraltro, a conoscenza del ruolo di tale soggetto) apostrofandolo con una parolaccia durante una lite “di lavoro” (quindi in un clima di tensione e conflittualità), in quanto non può essere ignorato il fatto della mancanza “di precedenti addebiti nei confronti del dipendente che non aveva mai avuto altri episodi di intemperanza in tal senso. ”In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso è rimesso al giudice di merito (per tutte Cass. 22 marzo 2010, n. 6848) il cui apprezzamento, che deve tenere conto non solo delle circostanze oggettive, ma anche delle modalità soggettive della condotta, è sottratto a censure in sede di legittimità se la relativa valutazione è sorretta da adeguata e logica motivazione (per tutte Cass. 27 settembre 2007, n. 2021)”. Corte di Cassazione, Sezione lavoro, 16 novembre 2010, n. 23132

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